Carmine Di Giandomenico: "Ho disegnato Superman, ora sogno di lavorare con Frank Miller"

Parlare con Carmine Di Giandomenico è un’esperienza particolare. Si è di fronte a un artista che ha segnato il fumetto italiano e americano come pochi altri, che ha contribuito ad arricchire le origini di personaggi iconici come Magneto, Daredevil e Batman, ma a colpire più di ogni altra cosa, del disegnatore nativo di Teramo recentemente nominato Cavaliere al merito della Repubblica, è l’aspetto umano. Si emoziona quando parla del suo amore per Superman, non dimentica chi ha lavorato con lui e gli ha riconosciuto meriti che erano suoi, si preoccupa per i colleghi che attraversano momenti di difficoltà e per una categoria che non è mai abbastanza riconosciuta e tutelata. Per questo, per il suo genuino entusiasmo, la sua generosità e la sua umiltà, Di Giandomenico è tra i personaggi più amati nel mondo del fumetto. Per questo e per la sua straordinaria arte. Ospite di Cortona Comics, si è raccontato con Sky TG24. “Magneto: Testamento”, “Batman: Il Cavaliere”, “Battlin’ Jack Murdock” sono tutte storie che raccontano i supereroi prima che diventassero supereroi. Come si lavora nel costruire o ricostruire le origini di personaggi tanto iconici anticipando in qualche modo quello che racconta poi il supereroe? Sono tutti progetti importantissimi per un autore, anche a livello emotivo, ci si ritrova a confrontarsi con altri autori, con grandi maestri del fumetto, basti pensare alle origini di Daredevil e Batman riscritte da Frank Miller, o a quelle ancora precedenti scritte da Stan Lee e Bob Kane e Bill Finger. In “Battlin’ Jack Murdock” ho avuto l'occasione di poter ideare e poi co-sceneggiare con Zeb Wells, che mi ha aiutato per seguire la continuity, le origini di Daredevil viste attraverso il padre di Matthew Murdock. Negli altri casi non sono state esattamente idee mie, ma intuizioni di Greg Pak, che si era laureato sull’Olocausto e aveva intervistato diversi ebrei sopravvissuti alla Shoah, per “Magneto: Testamento” e Chip Zdarsky per “Batman: Il Cavaliere”, che si pone narrativamente prima di “Anno Uno” di Miller e Mazzucchelli. Sono storie che raccontano in effetti il ragazzo prima che decida di indossare la maschera, e infatti in questo settore mi chiamano l’uomo delle nuove origini. Ho pure tenuto a battesimo dal numero uno il Flash di Joshua Williamson… Come ricordava, di “Battlin’ Jack Murdock” ha ideato il soggetto e cofirmato la sceneggiatura. Insomma, è stata proprio un’idea sua. Da dove è nata? Mi sono sempre chiesto come fosse possibile che un padre con un figlio portatore di handicap si mettesse contro un boss per vincere un incontro di boxe solo perché il figlio era tra il pubblico, senza preoccuparsi poi delle conseguenze. Voglio dire, l’istinto principale di un padre dovrebbe essere quello di preservare il proprio figlio, rinunciando all’orgoglio. L’unica motivazione che mi era venuta in mente era che Jack Murdock potesse aver scoperto che Matthew era forte e indipendente, così ho costruito una miniserie prendendo tutti gli elementi che avevano lasciato Frank Miller, Stan Lee e Jeph Loeb. Ciò che è importantissimo in questo tipo di storie è sapere emozionare, con la storia ma anche con l'espressività dei volti nel disegno. È una cosa su cui si concentra tanto? Ogni racconto ha una matrice e un timbro sonoro. Gran parte dei lettori spesso vede il fumetto come se fosse solo un bel disegno e basta, ma in realtà è la traslazione di una sequenza scelta dando un ritmo condensato che porta a quello sguardo. Possono essere degli occhi disegnati in maniera standard, ma sono ritmo e sequenzialità che danno una valenza emotiva e un impatto diverso. Per questo dico che il sonoro è presente nel fumetto, non per le onomatopee ma per il ritmo. Se prendessi tutte le tavole di Hugo Pratt o di qualsiasi altro disegnatore, le stendessi in orizzontale togliendole dall’impaginazione, vedreste le note alte e le note basse, vedreste proprio la sinusoide musicale del racconto. Per anni il suo nome è stato legato a quello di Flash, ha contribuito fortemente a rilanciare il personaggio. Che rapporto ha con lui? Per me è stato innanzitutto un onore anche perché è capitato che proprio nel Rebirth, nella rinascita del personaggio, a 70 anni di distanza dal suo creatore Carmine Infantino, un altro Carmine tornasse a disegnare Barry Allen. Per quanto riguarda il mio lavoro sul personaggio, mi è piaciuto giocare con la velocità e la distorsione anatomica. Non mi interessava fare un corpo perfetto in movimento, come se fosse immortalato in un fotogramma, ma volevo dare proprio una distorsione quasi grandangolare per accentuare ancora di più la velocità. In più ho inserito l'uso dei fulmini in maniera diversa dallo standard, più luminosi e con le scie ad aiutare il lettore a percepire il movimento. Barry Allen o Wally West? Io sono legato a Barry Allen a livello generazionale però è un po' come la questione su Miles Morales o Peter Parker: in questo periodo storico credo che sia giusto che Miles Morales e Wally West abbiano il loro spazio. Non ha mai fatto mistero di amare particolarmente Superman e ha sempre detto che desiderava disegnarlo. Ora ci è riuscito disegnando due albi e la variant cover del numero uno di “Absolute Superman”. Ha realizzato il suo sogno? Sì. A me bastava semplicemente disegnare anche un solo numero di Superman nella mia vita, non voglio per forza una serie. Nel mio piccolo avrei anche una storia di dodici numeri che però non credo vedrà mai la luce. Forse quando avrò 70 anni la pubblicherò gratuitamente, così se prendo l'ergastolo non c'è problema… Ma perché ama così tanto Superman? Perché è stato il mio primo supereroe. Ero piccolo e ricoverato in ospedale per broncopolmonite quando i miei zii da Bologna arrivarono e mi regalarono un album Panini del film che era appena uscito nel settembre del 1980. Mi ricorda gli episodi simpatici e ironici del piccolo Carmine e sì, ho fatto questi due numeri e non sono due numeri a caso: nel numero 6 lui precipita in Kansas ed è un po’ come dare un nuovo la alla storia, mentre nel 7 c’è il villain per eccellenza. Aaron e Sandoval stanno facendo un lavoro pazzesco nel raccontare un mondo particolare dove i supereroi hanno perso qualcosa ma che dà la possibilità di indagare ancora meglio nell'intimità del personaggio. Posso assicurare che c'è molto più Superman in “Absolute Superman” che nella serie regolare attuale, troppo legata ai canoni degli anni ’60-’80. Il suo è un lavoro che nasce dalla passione. Come si fa a non cedere alla routine? Si inizia sempre così, da lettori ci si innamora dei personaggi, delle storie avvincenti che ci si trova davanti, da Topolino a Spider-Man, poi si cresce con loro e alla fine, quando si scopre che la passione può diventare un mestiere, la cosa più scioccante è vedere quanto lavoro c'è davvero dietro. Se ne parla poco, viene compreso poco. Quando ho avuto la possibilità di iniziare a lavorare nel settore, anche con le grandi major, è stato tra virgolette spaventoso per un ragazzo inesperto, però pian piano, con fiducia e soprattutto tigna, ho iniziato a scoprire come funzionassero gli ingranaggi di un'intera macchina. Quasi tutti i miei coetanei sono autodidatti perché all'epoca non esisteva una scuola di fumetto come oggi, ed era affascinante vivere quel percorso in cui andavi a comprare l'albo in edicola, lo studiavi, lo fotocopiavi, cercavi di capire perché un autore avesse fatto quella particolare scelta nell'impostare una vignetta. Era sempre un'eterna scoperta e soprattutto un costante confronto con gli altri colleghi che poi sarebbero diventati a loro volta artisti internazionali. Ci si incontrava a Lucca, la prima Lucca, non quella di oggi, e ci si poteva parlare senza dover correre tra i veri impegni; c'era uno scambio che portava a una crescita personale. E come si approcciano le deadline? Credo che gli artisti di oggi non abbiano più la coscienza della responsabilità con cui è cresciuta la mia generazione, quella consapevolezza che la macchina produttiva non si ferma a chi disegna ma coinvolge chi deve colorare, chi deve letterare, lo stampatore, l'editore, il distributore, il rivenditore. Per questo è importante rispettare le deadline. Io personalmente le vivo come un obiettivo, non tanto per consegnare l'albo ma per permettere che gli altri possano fare bene il loro lavoro. Ha co-creato con David Hine il personaggio di Spider-Man Noir, che ora avrà una sua serie tv con Nicholas Cage. Cosa si aspetta? Sì. Sono tra i co-creatori con altri colleghi come Marko Đurđević e Joe Quesada. Non so nulla della serie, è della Sony e quindi ci saranno ovviamente delle variazioni per quanto riguarda il copyright, però da quel poco che si è visto mi pare molto rispettosa della linea che si era presa all'epoca. Ho avuto l'onore di creare il tessuto del mondo intorno al protagonista, lavorando sui villain, e ho trovato interessante soprattutto la Gatta, che viene sfigurata e poi indossa una maschera, o il Goblin, o il Dottor Octavius, Kraven con lo scimpanzé, l'Avvoltoio che omaggia Nosferatu. Ovviamente il personaggio ha acquisito popolarità grazie ai film d’animazione di Miles Morales e sarà certamente emozionante vederlo sullo schermo, anche se non credo che sarò nei titoli di testa e nei ringraziamenti come mi era capitato con la serie di Flash. Sono comunque curioso perché Nicolas Cage è un attore che adoro e credo che possa dare tanto al personaggio. E magari ci sarà qualche citazione e omaggio. Sarà emozionante vedere se ci saranno rimandi al fumetto come con “X-Men First Class” per via di “Magneto Testamento” o con Godspeed nella serie tv The Flash. Peccato che il mondo del cinema spesso sia un po’ distratto anche solo nel dire semplicemente qualche grazie. Capita a tanti autori… Siamo consapevoli di aver firmato un contratto e che tutto ciò che creiamo per le major è di loro proprietà intellettuale, non ne facciamo una questione economica, ma almeno un segno di gratitudine e rispetto, ogni tanto, penso che sarebbe dovuto. Tra i tanti sceneggiatori con cui ha lavorato, c’è qualcuno con cui si è trovato meglio? Ho lavorato con grandissimi autori, tra cui c'è anche Peter David, scomparso da poco. Non c'è qualcuno con cui ho lavorato meglio o peggio, nel senso che quando si lavora si punta sulla storia, e chi la scrive e disegna è poco rilevante. Si diventa una squadra, un corpo unico. L'unico forse che mi va di ringraziare, perché all'epoca si creò un po' di confusione sui credit per colpa dell'editor Marvel che non sapeva come impostarli, è Zeb Wells, che in un'intervista dichiarò pubblicamente che la sceneggiatura iniziale di “Battlin’ Jack Murdock” era completamente mia e che lui e l'editor dovettero solo modificarla leggermente perché rispettasse la famosa continuity, specificando però che avevo sempre l'ultima parola sulle scelte prese. Questo è stato un gesto di onestà intellettuale rispetto a una cattiva gestione dei credit che all’epoca ebbe un suo riflesso, anche se poi le cose si sono sistemate. E poi ci sono Zdarsky, Hine, Williamson, David… Come è lavorare con loro? Chip è un disegnatore eccezionale e riesce a lasciare libero il disegnatore; David Hine è capace di buttarti in atmosfere dark che senti sulla pelle quando le leggi; Joshua Williamson è il dinamismo puro, cioè riesce a gestire i sentimenti e le azioni in egual misura e riesce a dare corpo a una struttura anche quasi semi-seriale con i vari appuntamenti, le varie sottotrame degli episodi singoli ed è veramente interessante vedere come sviluppa la sceneggiatura; Greg Pak è un grande ricercatore, anche lui punta sui sentimenti, basta vedere “Magneto: Testamento” e tutti gli altri suoi lavori. Peter David, come Chip, lasciava molta libertà al disegnatore perché in America il disegnatore è il regista del fumetto. E invece uno sceneggiatore con cui non ha mai lavorato e le piacerebbe lavorare? Frank Miller. Sarebbe coronare un sogno di bambino potermi rapportare con questo grande maestro della narrazione della pagina. Lei lavora tanto con le major ma anche con opere che in gergo si definiscono “creator owned”, cioè di sua proprietà intellettuale. Come cambia l’approccio? Quando lavoro coi personaggi delle major cerco di portare rispetto per la loro storia, è una grandissima responsabilità, devo cercare di non stravolgere troppo il personaggio. Quando mi trovo su progetti più personali, invece, mi concentro sul raccontare i sentimenti. È quello che ho fatto con “Oudeis”, per esempio, la mia prima opera da autore completo, magari un po’ acerba ma per me importantissima, o con “Leone”, per il quale ho scritto una sceneggiatura utilizzando ben cinque tempi e non i classici due. Mi piace sperimentare strutture narrative diverse e credo che ogni racconto vada tutelato e raccontato con una metrica leggermente differente rispetto allo standard più semplice. E intendo semplice per il lettore, perché da fare non è semplice: la gabbia Bonelli, per esempio, credo che sia la cosa più complessa da gestire in tutta la narrazione visiva nel mondo del fumetto. Su quali progetti è attualmente al lavoro? Probabilmente per Lucca Comics uscirà un libro con Saldapress, una storia molto dinamica nella quale gioco ancora coi tempi cercando di raccontare un sentimento dilatato per 120 pagine. Di recente è stato nominato Cavaliere al Merito della Repubblica. Che effetto le fa? È stata un'emozione veramente forte. Il prefetto di Teramo mi aveva candidato un anno fa e sinceramente non mi sarei mai aspettato di esserne degno. È stata una giornata intensa, ho sentito l’affetto della mia città, dei cittadini presenti, in piedi perché i posti non erano abbastanza, e questo affetto è stata la cosa più bella. E poi viverlo con le persone che amo, con mia figlia e la mia compagna, è stato emotivamente forte. Però sento anche una responsabilità per il mio settore. Quale? Anche grazie al lavoro che stanno facendo da anni Lucca, il Comicon, l’ARF!, il fumetto comincia a essere considerato come un’arte a tutti gli effetti, gode di una considerazione molto più alta rispetto a 20 anni fa, entra nei musei. Purtroppo non sempre la società ha questa percezione, non solo qui, anche in America, dove un autore come Peter David si è trovato senza nemmeno i soldi per l’assistenza medica. Penso che questo sia un tema importante, bisogna tutelare chi per anni lavora in un settore, ci dà l'anima e ci regala anche dei momenti unici.

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