Spread sotto 100, di chi è il merito? E soprattutto, che ci guadagniamo?

Non vuol dire che va tutto benissimo, per l’economia italiana; ma di certo è un segnale di fiducia degli investitori internazionali verso il nostro Paese. E poiché sono loro che ci prestano i soldi – e ne abbiamo un gran bisogno, avendo un debito pubblico enorme da rifinanziare costantemente – è di sicuro un’ottima cosa. La discesa del famigerato “spread” ai livelli migliori da quasi 15 anni è nei numeri: si tratta, se fossimo nello sport, della differenza di punti dalla prima in classifica. I punti sono quelli, in percentuale, del rendimento dei Titoli di Stato : più è alto il rendimento, più vuol dire che chi ci presta soldi si fida poco e chiede quindi interessi più alti. Il termine di paragone è la Germania, che essendo storicamente l’economia più solida dell’Unione europea vanta i titoli di Stato coi tassi d’interesse più bassi . Ma la capolista non se la passa benissimo, per restare alla metafora sportiva, e la differenza di punteggio con le inseguitrici si va restringendo. Lo spread è sotto il punto percentuale da ormai diverse settimane: a maggio e in questa prima decade di giugno è sceso stabilmente sotto i 100 punti , e veleggia in area 90, dopo la fiammata di inizio aprile quando i mercati erano in subbuglio per il “liberation day” dai dazi di Trump . Per trovare livelli così bassi di differenza coi Bund tedeschi bisogna tornare al 2010, prima dello scoppio della crisi dell’euro e – appunto – dei debiti sovrani dei Paesi più fragili dell’Eurozona. Ad eccezione di due momenti di breve durata , sono insomma passati 15 anni: in finanza, un’era geologica. In questa, di era, la domanda per i nostri Titoli di Stato è molto elevata perché siamo percepiti come più solidi di prima. Appunto, perché? C’è un mix di elementi che si sposano, e bene, a nostro favore. Vincenzo Longo, strategist di IG: “Noi vediamo tre fattori. Anzitutto, il paragone è con un Paese, la Germania, che dopo due anni di difficoltà ha lanciato un maxi piano di stimoli fiscali, soprattutto per l’aumento della spesa pubblica al fine di finanziare il capitolo difesa. Questo mette pressione sui titoli di Stato tedeschi, e i loro rendimenti salgono, stringendo la forbice con tutti gli altri. Poi ci sono le politiche accomodanti della BCE, leggi discesa dei tassi d’interesse , che favoriscono in generale tutti i Paesi ma in particolare, è ovvio, chi parte da rendimenti più alti: quindi i Paesi che hanno tassi mediamente maggiori ne beneficiano di più. Il terzo fattore è più politico: siamo in un contesto in cui gli USA vengono declassati, perdendo la tripla A anche per l’ultima delle grandi agenzie di rating, in Europa si guarda molto alla stabilità politica, e l’Italia in questa fase storica appare più solida di Germania e Francia. E i nostri titoli di Stato se ne avvantaggiano”. A proposito di politica e di USA: gli analisti sottolineano un flusso di capitali che sta uscendo dagli Stati Uniti, complici le turbolenze legate alla presidenza Trump, e si stanno dirigendo verso l’Europa : l’Italia in questa fase ha la capacità di attrarre più soldi di altri Paesi – la domanda dei nostri Btp è sempre molto alta, a ogni emissione, quindi i prezzi salgono e i rendimenti scendono – per effetto di un insieme di motivi segnalati da ultimo dall’agenzia di rating Moody’s, nella sua ‘pagella’ di fine maggio. Tra questi, struttura più solida, performance fiscale migliore delle attese, conti pubblici tutto sommato in ordine che, grazie a una stabilità politica poco conosciuta alle nostre latitudini, possono ancora migliorare. E infatti “c’è ancora margine di miglioramento – afferma di nuovo Longo –, possiamo scendere ancora di 10, forse 15 punti base: sarebbe una buona cosa per un Paese che ha ancora un debito pubblico molto elevato. Che paghiamo ancora molto caro: ad esempio, paghiamo più interessi della Grecia, che da anni ha uno spread migliore del nostro. Perché? Anche per via della montagna enorme di debito pubblico che abbiamo sulle spalle, un fardello che ha un suo costo, pure in termini di tassi da pagare”. Le conseguenze pratiche di questo miglioramento sono presto dette: nelle prossime aste di titoli di Stato potremo pagare meno interessi. Ormai il conto è salatissimo: secondo le stime del Governo, si va verso i 100 miliardi ogni anno solo di interessi sul debito. Ogni decimale di punto percentuale in meno vuol dire miliardi di euro risparmiati: ossigeno per le casse dello Stato.

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