Gravidanze più fragili per il caldo estremo: Italia tra i Paesi più colpiti

Tra il 2020 e il 2024, i giorni di caldo estremo causati dal cambiamento climatico sono raddoppiati rispetto agli ultimi trent’anni. Ed è un problema per tutti, ma soprattutto per le persone più vulnerabili, come quelle in gravidanza. Le giornate che superano il 95% delle temperature storiche locali sono infatti legate a un aumento del rischio di parto prematuro e complicanze per la salute materna e neonatale. Secondo un nuovo report di Climate Central, in Italia questa soglia è stata superata in media per 22 giorni all’anno: lo stesso numero osservato in Paesi come Bulgaria, Croazia e Spagna, tra i più alti dell’Unione europea. Gravidanze più a rischio in 78 Paesi su 247 Tra il 2020 e il 2024, quasi un terzo dei Paesi analizzati da Climate Central ha registrato in media almeno un mese in più all’anno di giornate in cui le temperature mettono a rischio le persone in gravidanza rispetto a un mondo senza crisi climatica. L’aumento è stato particolarmente evidente nei Caraibi, in America Latina, nelle isole del Pacifico, nel Sud-est asiatico e nell’Africa subsahariana, regioni dove l’accesso a cure prenatali e assistenza sanitaria è già molto limitato. Se non visualizzi il grafico, clicca qui “A livello di salute pubblica, si tratta di un tema molto rilevante, perché gli effetti possono diventare cronici e generare un carico economico e sociale enorme”, ha spiegato Hicham Achebak, ricercatore dell’Istituto di Salute Globale di Barcellona. Durante la gravidanza, infatti, il corpo femminile subisce trasformazioni fisiologiche importanti, dato che il sangue circola in volume maggiore e la frequenza cardiaca aumenta. In questo contesto, il caldo aggiunge stress a un sistema già in affaticamento ed espone la gravidanza non solo a un rischio di aumento di parti prematuri e di morti fetali tardive, ma anche a una maggiore incidenza di neonati con peso inferiore ai 2,5 chili, una condizione che può avere ripercussioni sul loro sviluppo e sulla loro salute futura. Certo, oggi abbiamo più strumenti per difenderci dal caldo rispetto al passato, come ad esempio l’aria condizionata, ma come ricorda l’epidemiologa dell’Università di Berna Ana María Vicedo, “non ci siamo adattati al ritmo con cui il clima si sta riscaldando”. E se ci chiediamo se le donne incinte di cinquant’anni fa soffrissero più il caldo, la risposta è: non lo sappiamo. “Non ci sono ancora dati sufficienti per dirlo”, ha precisato Achebak, “ma è certo che dobbiamo osservare serie temporali molto più lunghe per capire se davvero ci stiamo adattando e come”. Malta, Cipro e Grecia sul podio Anche all’interno dell’Unione europea, le persone in gravidanza stanno affrontando un numero crescente di giornate in cui le temperature elevate causate dal cambiamento climatico rappresenta un rischio concreto per la salute. A guidare la classifica dei Paesi sono Malta, Cipro e Grecia, seguiti a pari merito da Bulgaria, Croazia, Italia e Spagna, mentre in fondo alla lista si trovano invece Finlandia, Paesi Bassi e Irlanda. Se non visualizzi il grafico, clicca qui In Italia, le regioni più esposte al caldo estremo che minaccia la salute delle persone in gravidanza sono Sardegna, Lazio e Sicilia. Secondo i dati raccolti da Climate Central, inoltre, tra il 2020 e il 2024 a Roma si sono registrate in media 25 giornate all’anno in cui le temperature hanno superato la soglia considerata a rischio per le gravidanze, mentre a Milano i giorni sono stati 21. Se non visualizzi il grafico, clicca qui Il messaggio del report è chiaro: la crisi climatica è anche una crisi di salute pubblica. Se non si riducono rapidamente le emissioni, il caldo estremo continuerà a intensificarsi, mettendo a rischio milioni di gravidanze. Ma non mancano le cautele: pur riconoscendo l’importanza di dare visibilità al problema, Vicedo ricorda che si tratta di uno studio non ancora sottoposto a revisione scientifica. “Il report inoltre non quantifica direttamente un aumento dei parti prematuri o dei decessi, ma si basa su un’analisi modellistica semplificata. Per dire che in una regione aumenteranno davvero i parti prematuri servirebbero dati clinici, raccolti negli ospedali”, ha precisato.

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